
Franco Cannilla: Caltagirone 1911-Roma 1984
Franco Cannilla nasce a Caltagirone, in provincia di Catania, il 13 febbraio 1911, in una famiglia d’arte: suo padre, scultore e decoratore, lo introduce al mestiere. Dopo aver frequentato la Scuola di ceramica locale e l’Accademia di Belle Arti di Palermo, si trasferisce a Roma negli anni ’40, dove si inserisce nell’ambiente artistico in evoluzione. Qui espone per la prima volta alla Mostra sindacale, dove una sua opera viene acquistata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Inizialmente legato a uno stile classico figurativo, Cannilla abbraccia progressivamente l’astrattismo. Negli anni ’40, realizza opere come “Ballerina” e “Nudo n.2“, presentate alla Galleria del Secolo di Roma. Partecipa a numerose edizioni della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma, venendo elogiato da critici di rilievo come Pier Maria Bardi e Alberto Savinio.
Cannilla sperimenta in vari ambiti artistici, dall’oreficeria, con modelli per gioiellieri come Mario Masenza, alle sculture costruttiviste realizzate con materiali innovativi come acciaio e plexiglas. Le sue opere sono esposte in importanti mostre internazionali, tra cui la Tate Gallery di Londra e il Musée Rodin di Parigi.
Negli anni ’70, si dedica alla creazione di sculture monumentali per spazi pubblici, partecipando anche alla XI Biennale di San Paolo. Alla sua morte, avvenuta a Roma nel 1984, gli sono state dedicate numerose retrospettive, celebrando il suo contributo all’arte contemporanea italiana.
L’opera di Cannilla, dunque, si pone come un ponte di unione tra arte, scienza e tecnologia industriale. Inoltre, converge e riemerge come parte delle aspirazioni più profonde dell’arte contemporanea. Rappresenta coloro che, avendo profondamente sofferto durante il dramma di due guerre mondiali, si ritrovano a riscoprire le loro intenzioni originarie.
Giorgio Tempesti, 1966
Lucilla Meloni nel suo articolo dedicato alla mostra su Franco Cannilla, ( articolo completo qui ), racconta l’omaggio al percorso artistico dello scultore, tenutosi nel suo ex studio in via Masolino da Panicale, a pochi passi dal MAXXI. La mostra ha celebrato l’artista attraverso una preziosa selezione di opere, documenti d’archivio e cataloghi di mostre personali e collettive, offrendo una testimonianza completa del suo lavoro e della sua fortuna critica.
Cannilla partecipò a numerose esposizioni di rilievo, tra cui diverse edizioni della Biennale di Venezia, come la XXV, XXVII e la XXXIII (in quest’ultima con una sala personale), e della Quadriennale Nazionale di Roma. Fu inoltre protagonista di rassegne internazionali come Nuova Tendenza e partecipò alla mostra “Strutture di Visione” nel 1964, accanto ai gruppi dell’arte cinetica e programmata. Le sue opere fanno oggi parte di importanti collezioni pubbliche, tra cui quella della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Artista attivo fin dagli anni Quaranta, Cannilla esplorò con originalità la relazione tra forma e spazio, contribuendo alla trasformazione della scultura italiana nel dopoguerra. Il suo lavoro, che spazia dalla scultura alla pittura, ai disegni, ceramiche e gioielli, è caratterizzato da una continua sperimentazione sui materiali e da un approccio alla scultura come “segno spaziale”, un concetto che il critico Giorgio Tempesti definì con grande efficacia.
Con il passare del tempo, Cannilla abbandonò progressivamente materiali tradizionali come gesso, pietra e bronzo, che avevano dato vita a forme scultoree di matrice mariniana, per introdurre elementi più innovativi come profilati in ferro, ottone, laminati e tubolari in alluminio, acciaio inox e plexiglass. Questa transizione segnò anche il passaggio dalle forme piene e volumetriche a volumi tubolari e fasce, dall’espressionismo a una ricerca più rigorosa e oggettiva della forma. Il termine “struttura”, seguito da un numero, divenne un elemento chiave nel titolo delle sue opere.
Cannilla anticipò questo processo già nel 1958, con sculture a fasce lineari in metallo laminato e plexiglass, materiali che rappresentavano una vera novità per l’epoca. Tali opere furono promosse dal gallerista Carlo Cardazzo e presentate in sedi prestigiose come la Galleria Selecta di Roma, il Cavallino di Venezia e, successivamente, il Padiglione del Libro alla Biennale di Venezia del 1962.
Nel concepire la forma come struttura di visione, Cannilla riuscì a far convivere spazio e figura in una soluzione scultorea che univa solidità e leggerezza. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, le sue fasce si geometrizzarono progressivamente, distendendosi in tracciati regolari. Giorgio Tempesti e Giulio Carlo Argan le definirono “selettori di luce e misuratori di spazio”, strutture che esistevano esclusivamente per sé stesse, senza rimandi esterni.
Le sue sculture “totemiche”, presentate da Giuseppe Gatt alla Biennale di Venezia del 1966, incarnano questa visione: opere a metà strada tra l’estetica di un processo e la ricerca di una forma in cui arte e tecnologia industriale si fondono armoniosamente, come osservò lo stesso Tempesti.
